intervista con Aldo Ferrara

Aldo Ferrara, pneumologo, è professore fuori ruolo di Malattie Respiratorie all’Università degli Studi di Milano e poi a Siena, a Boston e in Svezia. È uno dei massimi esperti italiani di inquinamento da gas di scarico, tema sul quale ha curato moltissimi lavori e con l’ ERGAM (European research group on automotive Medicine) ha pubblicato “La vita al tempo del petrolio” (Agorà & C0., 2017), un interessantissimo saggio che discute sotto i profili medici, sociali e politici il peso immane dei carburanti fossili sulla storia del mondo, e sul suo incerto futuro. Qualche anno prima, nel 2016, Ferrara aveva fatto la TAC alla Sanità patria, con un titolo definitivo: “Quinto pilastro: il tramonto del sistema sanitario italiano” (Bonfirraro editore). Dunque, essendo Aldo anche un amico di MilanoAmbiente, ci è sembrata la persona giusta per una intervista su due interrogativi che mettono paura a tutti, perché ci viviamo in mezzo: l’inquinamento atmosferico aiuta il coronavirus a diffondersi fra la gente? E poi: il nostro sistema sanitario, quello lombardo e quello italiano, anche tenuta in conto a gravità e la rapidità dell’emergenza, è meritevole di encomio o colpevole di strage? C’è e ci sarà un dibattito rovente (e come non potrebbe) su quest’ultimo punto, e dunque partiamo da lì. Ma permettetemi di sottolineare fin da ora le conclusioni medico-scientifiche a cui la conversazione con Ferrara arriverà alla fine, trattando di inquinanti e virus, perché il nostro pneumologo giunge a una terza paura, insospettata dai più, meritevole di urgenti e approfondite attenzioni: le vere complicazioni, con il COVID-19, sarebbero quelle cardiovascolari e l’aggressione virale minaccia di complicare una popolare cura per l’ipertensione arteriosa. Ecco l’intervista:
Non si sa che pensare sugli ultimi studi che retrodatano i primi contagi in Lombardia al mese di gennaio e forse anche prima: dunque una catastrofe così può restare non vista e non capita per settimane? Presi alle spalle, poi, abbiamo reagito senza riuscire ad impedire l’espansione del COVID-19 in Lombardia, nel Nord, nella parte “più avanzata” del paese. La diffusione è stata rapidissima, irrefrenabile e purtroppo assai letale. Ora, anche se è doveroso ringraziare tutti coloro che, dagli infermieri, ai medici, agli amministrativi, ai politici incaricati, sono corsi a cercare di salvare il salvabile, non possiamo smettere di chiederci: questo disastro era evitabile? Si poteva fare meglio? Si potevano salvare vite innocenti? Tu che ne pensi, Aldo?
Penso che si sia di fronte proprio a quel drammatico default paventato da anni, che ora sta svelando tutte le nostre contraddizioni. Queste, in specie sul sistema sanitario Lombardo, sono note da tempo. Una delle tante deficienze la avvertiamo nel settore della Terapia Intensiva. 5140 posti letto per un Paese di 60 milioni di abitanti è una percentuale irrisoria che oggi scontiamo. Una goccia nel mare di dolore dei pazienti e familiari. Ma la Rianimazione non è redditizia e dunque su di essa non si investe. La Lombardia è una Regione ricca, che destina il 72% del suo PIL quasi unicamente alla Salute (18 miliardi contro un un PIL di 25), eppure la filiera di sussidiarietà, di strisciante privatizzazione, e le ultime recenti disposizioni sul “Gestore di Sanità” hanno contribuito a mortificare quell’eccellenza che ne aveva fatto il Faro europeo sia in tema di ricerca con i suoi IRCCS ( Istituti di Ricerca e Cura a carattere Scientifico) sia per i suoi Ricercatori e Docenti, tra i più apprezzati in Europa.
Queste contraddizioni che tu vedi nell’impianto generale, sono emerse anche nello specifico del Coronavirus?
I letti di terapia intensiva in Lombardia, destinati ai pazienti di Coronavirus, erano fissati a 610. Solo dopo che l’epidemia era esplosa si sono ricordati di aprire altri 223 letti di terapia intensiva in prima istanza ed in seconda altri 43. Il totale definitivo sale a 876, con un incremento del 30% circa. Ma l’incremento sconta la necessità del reclutamento di personale medico e paramedico specializzato, operazione molto più complessa rispetto all’acquisto delle attrezzature (ventilatori portatili, o da terapia intensiva e sub intensiva) che richiede pochi giorni. E anche per l’Unità Intensiva da 500 posti di cui tanto si è parlato (ora sembra che il piano debba essere abbandonato), ci vogliono almeno 750 medici specialisti in Anestesiologia e Rianimazione, in tre turni di 8 ore/die e 1200 unità di personale paramedico specializzato. Reclutare un tal numero di specialisti è compito improbo e richiede tempi lunghi. Si paga cioè un ritardo di programmazione su emergenze straordinarie alle quali si sarebbe potuto far fronte in tempo utile con adeguati investimenti.
Eppure il sistema sanitario della Lombardia è un gigante: sede di IRCCS, Istituti di Ricerca Clinica a Scopo Scientifico, sede di poli universitari di assoluto prestigio, S. Raffaele, S. Paolo, Monza Bicocca, il Galeazzi, l’Ospedale Maggiore con le Aziende di Niguarda, il Policlinico di Via F. Sforza
Il Policlinico è stato raso al suolo mantenendo pochissimi Padiglioni tra cui il Padiglione Litta, tutelato dalla Sovrintendenza dei Beni Artistici, che era la sede della Clinica delle Malattie Respiratorie (disciplina che impropriamente viene definita Pneumologia) e che adesso ospita uffici amministrativi. A cosa dunque è servito riorganizzare le Facoltà di Medicina nei ben noti Poli Universitari (Policlinico, S. Raffaele, Monza S. Gerardo, S. Paolo, Grassi di Vialba)? E quale sarà il destino di molte IRCCS (Humanitas, Centro Auxologico etc) se non dei ricoveri assistenziali di manzoniana memoria? Il deficit di investimenti nelle strutture sanitarie pubbliche e il trascinamento della Sanità Lombarda verso la semiprivatizzazione che è passata attraverso le forche caudine della sussidiarietà e delle convenzioni con Enti Privati, cioè il cosiddetto Modello Formigoni, ci ha portato in questa assurda situazione. Poi il Covid ha fatto il resto.
Oltre agli ospedali, la sanità, sono sotto accusa anche le Rsa: l’assistenza agli anziani subisce, anche e soprattutto nella presunta “eccellenza lombarda” una sconfitta epocale su cui si dovrà ragionare con la massima serietà e severità. Ma da un punto di vista strettamente medico, in che modo il coronavirus si rivela particolarmente letale gli anziani? Ho letto che la grande influenza spagnola che uccise milioni di persone fra il 1918 e il 1920 uccise, al contrario, soprattutto giovani.
Be’… forse prima dell’aspetto medico c’è un aspetto sociale e statistico da valutare: tante cose sono cambiate rispetto al 1918, le condizioni di vita e di lavoro, la farmacologia, la maggiore aspettativa di vita, minore in quell’epoca. Abbiamo portato i nostri vecchi a vivere di più ma non a vivere meglio. Il dilagare di patologie degenerative ha fatto il resto.
Non respiriamo tutti la stessa, però: al nord, nel bacino urbanizzato della val padana e nella grande Milano, l’aria è peggiore. L’inquinamento ha diffuso il virus? Lo ha reso più cattivo? Ci sono prove accertate?
I rilievi autoptici sui decessi attribuiti al Covid-19 non sono ancora noti, quindi occorre ancora affrontare l’argomento con prudenza. Tuttavia riguardo all’ipotesi che il coronavirus si agganci alle particelle di particolato fine e possa così, nelle zone di inquinamento intensivo, diffondere il contagio, è tutto da vagliare. Non confonderei una visione “meccanicistica” di trasporto del virus avendo come carrier la particella. È piuttosto la Malattia Epiteliale che facilita la penetrazione del virus, il quale poi predilige l’Endotelio dei vasi per scatenare un’offensiva vascolare. L’epitelio malato è un complice, il vaso trombotizzato la vera vittima. È verosimile che gli inquinanti, anziché “trasportare” il virus come carrier, abbiano potenziato l’effetto virale aumentandone la capacità infiammatoria. Occhio però anche a un fattore che e è meno complesso da calcolare: il numero di persone che abita in città
Prima del Coronavirus Milano si faceva vanto di attrarre nuovi cittadini… E la forza attrattiva delle grandi metropoli sembrava irrefrenabile
Il maggiore afflusso di abitanti nelle Megalopoli, l’affollamento, l’aumento di densità significa maggiore circolazione virale e soprattutto, riduzione pro capite dell’offerta dei servizi essenziali come quello sanitario
Abbiamo spesso amaramente sentito parlare di co-patologie che, mixate agli effetti del virus, portano alla morte il paziente infetto. Quali malattie causate o peggiorate dall’inquinamento da gas di scarico per autotrazione (benzina, diesel o altro) sono particolarmente rischiose?
Partiamo dalle conoscenze certe, quelle sull’inquinamento. Un po’ di storia: dopo il boom industriale e motoristico degli anni sessanta, oggi paghiamo un prezzo molto pesante con 60 mila decessi per smog. L’obbligo dei post-combustori catalitici o dei FAP antiparticolato, dal 1995 ad oggi, non ha arrestato la massiccia presenze di benzene, ossidi di azoto e PM10. Attendendo il futuro a basse emissioni o meglio a emissioni zero, che tutti ci auguriamo, ma che per ora non c’è, sappiamo e siamo sicuri di una cosa, anzi due: l’azione del PM10, PM5, PM0,1 favorisce lesioni croniche dell’apparato respiratorio ma non solo: anche di quello cardio-vascolare (con la precoce aggregabilità piastrinica che determina alterazioni anche coronariche)
Questa differenza è importante, cosa comporta?
Gli ossidi di azoto, oltre che gas serra, sono gas irritanti. Respirandoli si rischia una infiammazione dell’epitelio, ovvero del rivestimento delle nostre vie aeree, superiori e inferiori. Questa infiammazione, è particolarmente allarmante per gli asmatici e i rinitici. Tutto ciò è ampiamente dimostrato e ben noto alla gente che ne soffre, ma per ciò che attiene a COVID-19 è opportuno sottolineare un particolare che potrebbe sfuggire ai non addetti ali lavori: l’esposizione agli ossidi di azoto (NOx) ha un effetto negativo sulle difese immunitarie umorali e cellulari. Lo si è dimostrato fin da una ricerca del 1987 del professor Richard B. Schlesinger. Se mi concede un accenno al linguaggio medico, l’esposizione di cellule epiteliali della mucosa nasale o bronchiale di volontari sani al biossido di azoto (NO2), all’ozono (O3) e alle particelle degli scarichi dei motori diesel, determina la sintesi e il rilascio di mediatori pro-infiammatori, che comprendono eicosanoidi, citochine e molecole di adesione. Detto in termini più piani: l’aria inquinata abbassa la soglia di difesa dei nostri polmoni, anche al coronavirus
Non è una buona notizia
Certo che no, anche se l’esposizione agli inquinanti può variare di molto da soggetto a soggetto. Ma chi si trova a dover lavorare vicino a strade trafficate, se non addirittura in mezzo al traffico come la polizia locale di Milano su cui svolsi una ricerca in merito quando a Milano ero docente alla Statale, nel lontano decennio 1975-1985 deve attentamente valutare questo rischio. Che non è il solo
Quali altri rischi ci sono?
L’inquinamento non lede solo l’apparato respiratorio. Quindi dobbiamo anche parlare di sistema circolatorio e di cuore. Anzi, le co-patologie che insieme al Coronavirus hanno portato alla morte decine di migliaia di persone in questi tristissimi mesi sono prevalentemente di ordine cardio-vascolare. E solo in seconda analisi broncopolmonari e renali, i dati ISS del mese di aprile cantano
Eppure si è continuato a parlare di broncopolmonite atipica
In molti casi si ha polmonite. In non pochi pazienti si verifica una Lung Injury ossia una vera “ustione“ del polmone che in termini tecnici si chiama ARDS, Acute Respiratory Distress Syndrome. La cura è a base di terapia medica e farmacologica con antivirali come (Remdesivir e HAART, highly active antiretroviral therapy), di antibatterici di copertura per germi opportunisti (Legionella, Pseudomonas, Klebsiella), anti-IL6 (Tocilizumab e Sarilumab), anti-IL1 (Anakinra), antivirali plasma convalescente (anticorpi anti-coronavirus) ed infine della associazione Plaquenil/Azitromicina
Come si esplica, nel decorso della malattia, questo rischio?
Le posso rispondere per ora solamente per analogia con quanto avviene nelle infezioni da virus influenzali in generale, dove la complicanza maggiore, la più temuta, è la tempesta citochimica
Di che si tratta?
Di una sorta di autogol paradossale in cui la risposta immunitaria appare eccessiva rispetto all’attacco virale, e quindi provoca ulteriori problemi invece di risolverli
Cioè una terapia a base di ACE-inibitori per chi soffre di ipertensione arteriosa può originare complicazioni gravi in chi si ammala di Coronavirus?
È tutto da acclarare, ma occorre farlo e in fretta. Investigare il ruolo dell’ACE quale porta di ingresso del Covid-19 e chiarire il ruolo degli ACE inibitori e dei Sartani, utili nella protezione dei guasti cardio-vascolari del virus. Nella biochimica della muscolatura liscia bronchiale, la presenza dell’ACE è importantissima, come risulta da ricerche da me e da altri Colleghi già nel 1994. Dobbiamo assolutamente approfondire questo tema in sede biochimica
Posso chiederle un’ulteriore esemplificazione che ci chiarisca il problema?
È come se il virus entrasse in competizione con il meccanismo farmacologico dell’ACE-inibitore utilizzando lui il tornello d’ingresso, impedendo poi che il farmaco entri a giocare la sua partita.