
di Pier Vito Antoniazzi
Da tempo “MilanoAmbiente” mi chiede di scrivere qualcosa sulle prospettive dopo l’esplosione dell’epidemia Covid.
E’ evidente che all’orizzonte ci sono nubi preoccupanti: una società che si regge sul mercato e sul consumo, matematicamente va in crisi se questi per tre mesi si bloccano.
Ma è davvero impossibile prevedere cosa succederà in un mondo che già era sottoposto a cambiamenti epocali e che ora non è più certo di nulla.
Verrebbe da rispondere con le celebri parole del poeta “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/si qualche storta sillaba e secca come un ramo…/Codesto solo oggi possiamo dirti/ciò che non siamo/ciò che non vogliamo.”
L’unica verità è la consapevolezza di non avere certezze.
Allora, sforzandomi di trovare qualche parola per gli amici e per me stesso, non posso che provare a mettere insieme qualche consiglio di metodo, qualche idea da tener presente comunque vadano le cose.
NON CERCHIAMO IL COLPEVOLE
Il primo atteggiamento nel quale non dobbiamo indugiare e perder tempo è la ricerca del “cattivo”, del deus ex machina responsabile dei nostri disastri.
Primo perché non possiamo far niente su ciò che è già stato.
Secondo perché la ricerca del colpevole (fuori di noi, ovviamente) è come una valanga: si comincia coi cinesi, si continua con le case farmaceutiche, si prosegue con l’inquinamento,si arriva ai governi nazionali o locali irresponsabili, e si finisce col vicino di casa che non porta la mascherina!
Non che bisogna smettere di riflettere su cause e su misure ma l’importante è non farsi prendere emotivamente dall’enfasi del capro espiatorio, del nemico che ci riempie di rabbia e lamento e ci autoassolve dal fare qualsiasi cosa.
Come disse un beneamato Kennedy “Non chiediamo cosa fa l’America per noi, ma cosa possiamo fare noi per l’America…”.
NON INVENTIAMO NIENTE
Un altro errore che dobbiamo evitare è quello di pensare che occorra una invenzione nuova e magica che ci risolleverà da ogni problema.
E’ sicuro che dobbiamo cambiare (o innovare come piace dire oggi) molte cose, ma non dobbiamo andarle a cercare sulla luna.
Nella nostra vita, nella nostra tradizione,nelle nostre radici, nella nostra storia ci sono molte delle risposte ai problemi nuovi.
Certo bisogna che questa memoria sia viva e rinnovata. Su molte cose, nel cambio d’epoca,è caduta la polvere dell’oblio. Tra queste c’è la dignità del lavoro, ci sono i rapporti di vicinato, c’è il rapporto umano tra le persone, c’è la solidarietà. Persino la famiglia a volte si è persa per strada…
Fare bene quello che sappiamo fare è il primo passo per fare un mondo migliore.
Aristotele diceva: “siamo quello che facciamo tutti i giorni, ripetutamente. Perciò l’eccellenza non è un atto straordinario, è una abitudine”
SEMPLICITA’
La crisi ci obbliga a rimettere a quadro la nostra scala di valori. Piccole cose che sembravano scontate possono non esserlo più. Non occorrono grandi filosofie ma semplicemente una scommessa sulla vita.
Occorre essere anime desideranti, cercare sempre altre strade, seguire i sogni.
E in questo la semplicità ci aiuta, perché non servono paroloni, ci vuole cuore e coraggio.
Amore per sé e per gli altri.
LEGAMI
Nel periodo di “arresti domiciliari” abbiamo riscoperto l’importanza dei legami. Da quelli familiari, più conosciuti, ma vissuti con una intensità e una frequenza diversa. A quelli di vicinato, dal negoziante sotto casa alla consegna a domicilio, dalle “ceste sospese” per chi ha bisogno, ad un nuovo uso dei social quasi trasformati in piazza di quartiere dove incontrare ansie, richieste di aiuto, gioie.
Senza legami non si costruisce società, non si fa storia. Abbiamo avuto una occasione di approfondirli. Ora teniamoceli stretti e non ce ne dimentichiamo.
“Siamo tutti nella stessa barca” ci siamo detti ( e tra l’altro questo ha azzerato per ora l’uso degli stranieri come capro espiatorio delle paure sociali) e questo è sempre più vero.
E’ una barca mondiale nella quale fino ad ora noi abbiamo goduto di privilegi economici sfruttando il sud del mondo.
Non sarà semplice o forse non sarà possibile mantenere il nostro stile di vita. Sarà importante avere un buon livello di coesione sociale e una visione solidarista del mondo.
IL LAVORO
Il lavoro già diminuisce. Diminuisce quantitativamente (almeno quello “buono” formale/tradizionale ) e diminuisce qualitativamente (non ha più il valore sociale e personale che ha costituito il cardine dei “trent’anni gloriosi” e della nostra prima repubblica). Dobbiamo abituarci ad una quantità di lavori precari, a termine, part time, in nero, occasionali…
Sarà molto importante allora combattere per una centralità del lavoro.
Lavoro come dignità, lavoro come identità, lavoro come legame sociale.
Il lavoro deve tornare ad avere un senso (non che il senso uno lo trovi in attività individuali).
Perché il lavoro abbia senso ci vuole partecipazione, chi lavora deve partecipare alla progettazione, alla gestione, agli utili del suo lavoro. E’ una battaglia politica da lanciare (e perché no nella crisi?). Intanto si potrebbe tornare alle origini delle scelte cooperative e di mutuo soccorso: no al lavoro alienato, si al lavoro condiviso.
Il lavoro (più che il reddito) deve essere il centro del nostro futuro, un lavoro dignitoso, partecipato,con un senso.
IL DOPPIO SGUARDO
Non voglio unirmi al coro retorico di chi ha cantato le eroiche gesta delle donne nel tempo di coronavirus. Angeli della cura e insieme della casa, protagoniste dello smart working e insieme dell’educazione dei figli. Semplicemente io vorrei che divenisse un senso comune che il confronto e l’affiancamento tra visione femminile e maschile sono indispensabili per comprendere meglio la realtà.
E’ quello che qualcuno ha chiamato “doppio sguardo”. In politica come sul lavoro, in casa come nel quartiere l’opinione delle donne ci deve essere sempre e contribuire, spesso orientare, le decisioni.
Una direzione maschile, auto centrata, porta facilmente a molti errori. Condividiamo le scelte, come la vita.
IL LOCALE
Ho scritto molte volte in passato dell’importanza del livello locale (vedi su MilanoAmbiente i miei articoli sull’Isola). Mentre le città mondiali sono standardizzate, stereotipe, hanno centri eguali, grattacieli simili, è a livello locale che la comunità inventa e reinventa un modo di vivere buono. Nel lockdown addirittura si è sviluppata la comunità virtuale dei social di quartiere.
La prossimità tra spazi pubblici (verde aperto, strade, piazze) e spazi privati (negozi, abitazioni) rende il quartiere vivo e crea uno spirito di coesione. Si riesce a “vivere” la strada. La presenza di associazioni, spazi autogestiti, teatri e realtà culturali, irradia il quartiere di idee e proposte che riscaldano il cuore alla partecipazione. Il quartiere diviene cosi attrattivo ed esempio per l’insieme urbano e metropolitano. E da qui nascono decine di persone straordinarie che ogni giorno rendono la città vivibile.
Poiché questa è la cosa più importante da capire: ciascuno di noi può fare molto per rispondere alla crisi che verrà se semplicemente vorrà vivere una vita buona.