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MILANO GREEN, VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTU'




di Irene Pizzocchero



Quante rondini a Milano in questa estate dal cielo limpido. Là, dove l’uomo ha rallentato la sua attività, la natura si è ripresa lo spazio.


Troppo spesso ci dimentichiamo della bellezza della natura, troppo spesso, presi dalla smania di innovare, calpestiamo la nostra storia e non attuiamo per il nostro futuro.


Infatti, appena abbiamo avuto la possibilità di uscire di casa, si è ricominciato a distruggere.


Così sono stati fatti sparire gli ultimi due cedri del parco Bassini, sono entrati i camion nel cortile di piazza Aspromonte, per costruire in mezzo alle case un progetto nascosto, è stata abbattuta la torre dell’acqua al quartiere Adriano. Anche il piano integrato d’intervento Mind nella zona ex Expo sta procedendo, nonostante la mancanza di verde e permeabilità evidenziati da un esposto dell’associazione ecologista Verdi Ambiente e Società.


Con la rimessa in moto dei cantieri, anche gruppi, comitati e associazioni si sono ripresentati con riunioni, proposte e proteste.


Da piazza D’Armi a Baiamonti, dal parco La Goccia al Bassini, dalla torre insostenibile della Maggiolina all’area verde di via dei Ciclamini, da Città Studi a San Siro, c’è una parte di società civile che non ci sta, una parte che non accetta passivamente questa trasformazione della città che distrugge i suoi parchi e il suo verde.


L’impressione che si ha parlando con la gente da una parte e guardando i video o i rendering dall’altra, è che ormai si sia generato uno scollamento tra vita reale e l’immagine da cartolina che certa politica e certo mondo imprenditoriale vuole trasmettere.


Dovuto al processo di cambiamento di Milano in atto, in via Tolstoi, al Lorenteggio, 270 famiglie in affitto in un bel condominio di proprietà della Reale Immobili (della compagnia assicurativa Reale Mutua) hanno ricevuto una lettera di sfratto in cui si chiede loro di andarsene per lasciare spazio a una riqualificazione edilizia, che porterà alla costruzione di grattacieli al posto delle loro palazzine. Così, ora, a Milano si sbatte in mezzo alla strada anche il ceto medio, pur di inseguire la narrazione di una città sfavillante, alla moda e solo a misura di facoltosi.

Tra gli abitanti di Milano, anche quelli che non scendono in piazza, fanno picchetti o firmano ricorsi al TAR, è diffusa la sensazione che gli amministratori manchino del rispetto e della necessaria sensibilità nei riguardi di una città così profondamente legata alla sua storia e alle sue tradizioni e la stiano sacrificando alle esigenze di costruttori e investitori.


La pandemia sta mettendo tutti di fronte ad altre sfide, che non sono più quelle di rendere la città attrattiva per affaristi e turisti internazionali dal portafoglio gonfio, quanto rendere la città sicura per i suoi abitanti e in particolare per le generazioni più fragili: i vecchi e i bambini, i primi falcidiati e i secondi costretti a numerose privazioni a causa dell’epidemia.

E’ a queste due generazioni che vanno dedicati gli sforzi di chi deve progettare la città del futuro.


Milano non ha bisogno di un nuovo stadio e delle relative torri e centri commerciali, là dove già esiste un tessuto urbano di qualità; non ha bisogno di una città della salute al di fuori dei confini cittadini, là dove deve sviluppare la sanità territoriale; non ha bisogno di spostare l’università per confinarla in un ghetto difficilmente raggiungibile, quando possiede uno dei più bei quartieri cittadini della scienza e della ricerca; non ha bisogno di costruire sui parchi là dove il futuro è nell’incremento del verde profondo e di costruire con criteri di sostenibilità e tutela ambientale.


Il Bosco verticale, la piazza Gae Aulenti e City Life, che piacciono tanto, hanno ormai il sapore delle cose superate. Simili quartieri sono sorti come funghi in tutte le città del mondo, adesso è il momento di una nuova e innovativa concezione urbanistica della città.

Milano potrà veramente diventare guida e ispirazione per le città del futuro se rispetterà le sue tradizioni, se si dimostrerà una città che sa recuperare, rigenerare e includere. Lo potrà fare però solo quando si fermerà ad ascoltare i suoi abitanti, i quali, consapevoli dell’insipienza della politica e dell’amministrazione pubblica, sono invece costretti a organizzarsi tra loro.


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