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TOGLIERE PER GIUNGERE ALL'ESSENZA



di Roberto Rainoldi



L’unica proposta possibile per darsi tempo e per governare la transizione verso una società post capitalista realmente sostenibile



Da sempre il moto rivoluzionario si muove sulla linea del miglioramento sociale delle classi meno abbienti, in sostanza chi ha meno deve avere di più. Più di cosa e per quale fine? Più mezzi e opportunità per chi ha meno, costruendo una società più equilibrata. Questo è stato il moto e l’idea di fondo.


Nel pensiero socialista e comunista del secolo passato l’idea della rivoluzione come livella sociale ha attraversato l’Europa per trasmigrare in ogni angolo del globo, con alterne fortune, sino alla vittoria (a che prezzo!) del capitalismo sia in chiave privata che collettiva. Di questi tempi, vuoi per l’estrema unzione del pianeta, stanno fiorendo nuove forme di ribellione, alcune di carattere socialista ed egualitario, altre legate alla necessità di trovare risposte agli sconvolgimenti climatici. Mi sembra prenda vigore la voglia di cercare strade e nuove proposte, da parte mia metterò in sequenza dei fatti che mi hanno spinto e tutt’ora mi spingono a rivedere al ribasso, all’essenziale, le mie attuali scelte di vita. Prendo in prestito suggerimenti e idee di altri tempi e suggestioni più vicine all’attualità.


Proprio dalle aspirazioni troppo materiali e poco spirituali si fonda il mito dell’accumulazione di ricchezza, ben oltre la reale possibilità di spesa che ognuno di noi esercita nella quotidianità: fare colazione, uscire e comprare il giornale o consultare le notizie sul web, pranzare e cenare, svagare quanto basta e innanzitutto sentirsi occupati anche senza una vera occupazione. Tra il minimo e il massimo lo scarto è costituito dalle differenze sociali, una volta avrei detto di classe. Oggi il primo problema è identificare e riconoscere ciò che è alternativo alla vita decente di tutti i giorni, ciò che condiziona quindi in peggio la vita dei più. Neppure il terzomondismo può resuscitare i vecchi modelli, il mondo è un tutt’uno di consumo, dove masse enormi vivono solo per consumare, non desiderano altro che prodotti.


Ora si può decidere che muoversi sia inutile e infruttuoso oppure cercare di dare forma a nuove esperienze di vita in comune, più o meno possibili e praticabili. Prima di avventurarsi nella ricerca bisogna chiarire due o tre questioni, a mio avviso fondamentali.


Il limite alla spesa personale


La prima attiene al principio, a mio avviso universale, della limitazione dei guadagni e, quindi, delle spese che ogni essere umano ha il diritto di esercitare, se sei indigente il problema non si pone, se sei benestante forse si, se sei ricco divieni tu stesso un problema.


Questa che è una banale considerazione, si scontra con l’idea che la maggior parte degli umani persegue: il sogno di diventare ricco, il mantra della fine del secolo scorso e del principiare di quello presente è lo stesso: diventa ricco e guadagna sempre di più! Pare che molti miei concittadini (poveri) si sentano già ricchi con qualche decina di migliaia di euro in banca, pare che almeno un milione e mezzo di persone abbiano più di un milione di euro, in beni e contante. Insomma la ricchezza la fa ancora da padrona. È stata una mutazione genetica o, purtroppo, è sempre stato così? Pare che l’unico motore che funzioni per stimolare l’essere umano sia il denaro, null’altro esercita un fascino equivalente. In natura l’unico essere che alimenta la sua fantasia con pezzi di carta o di metallo è l’uomo.


Da sempre sostengo che la sola questione ambientale non riesca a formare le coscienze né tantomeno a trovare soluzioni praticabili in un tempo tale da evitare il caos prossimo venturo, coniugare gli utopici modelli del passato alla questione ambientale, in particolare il surriscaldamento del pianeta, può scuotere gli animi e cementare gli uomini. Proprio gli uomini che più consumano e spendono spostano continuamente la discussione o ne travisano la soluzione, d’altronde perché fare diversamente se tutto finisce nell’arco di neppure un secolo, per sé e per il pianeta.


Si può affermare senza essere smentiti che il consumo di beni e di servizi inutili sia l’ingranaggio a cui si può sin d’ora porre un limite, a ciò si deve accompagnare una profonda rivoluzione culturale che espella una volta per tutte il mito di Creso. Dare un limite, o tetto che dir si voglia, alle spese quotidiane, mensili e annuali per ogni vivente è sì un principio egualitario, ma se mal interpretato genera gli stessi mostri del capitalismo più becero: ai ricchi va posto un limite, limite che abolisce l’uso personale della troppa ricchezza; faccio alcuni esempi: il Jet che porta poche persone o una sola persona, il panfilo che somiglia a un transatlantico, la casa che si fa reggia senza ospitare alcun re, ecc.; stili di vita da nababbi dobbiamo lasciarli a tempi passati. Si può aprire un dibattito su quanto è lecito avere da spendere, comunque va cambiato il paradigma “ricchezza privata-debito pubblico” in “ricchezza pubblica-sobrietà privata”, e ancora “proprietà privata-proprietà pubblica” in “proprietà pubblica-gestione del bene pubblico anche privata”, preferisco infine uno Stato che mi permetta di vivere, di studiare, di essere curato e poi accudito da anziano, che uno Stato che lasci a pochi questi privilegi.


Una persona ha scritto commentando un mio post: “…Per cambiare il capitalismo in questa fase di globalizzazione, ci vuole molto coraggio. Si devono cambiare le regole della comunità. Regolare anche la distribuzione del reddito. Progetti fantastici dove si deve sostituire la parola “abbondanza” con solidarietà. Ho la certezza che la mia generazione non sia in grado di farlo. Spero però che le nuove generazioni possano fare scoppiare un nuovo corso, e spero di riuscirne a vedere la deflagrazione.” Cambiare dunque ma cominciando da cosa? Se il reddito di cittadinanza è un buon inizio, ovviamente quello universale, raccontato ma mai realizzato, va accompagnato dalla misura inversa: il limite alla spesa e, quindi, al consumo per realizzare la sufficienza privata e il benessere pubblico.


C’è posto per tutti?


Forse sì, forse no. Tutte le volte che parliamo di limiti non consideriamo la crescita demografica. Il pianeta potrà forse ospitare 15/20 miliardi di esseri umani a patto che non siano consumatori voraci come lo sono oggi pochi privilegiati e come, inevitabilmente, lo sono anche i più miserabili. Se l’egualitarismo porta all’attuale modello di consumo pro-capite temo che la febbre del pianeta sia inevitabile; eguali nell’essenziale e diversi su ciò che si considera essenziale. E qui si apre un nuovo dibattito che si deve chiudere argomentando che delle quisquilie ce ne occuperemo più in là. Rimane comunque il punto centrale del problema. Ormai da più parti ci si rende conto che la crescita demografica è il vero problema, la Chiesa parla di procreazione consapevole, i Paesi poveri confidano nella crescita culturale e materiale per rallentare la proliferazione interna, i Paesi ricchi lamentano il progressivo invecchiamento delle popolazioni. Gli organismi transnazionali non possono limitare il problema al solo riscaldamento del pianeta se non si occupano collegialmente dell’incremento demografico esponenziale. Chi darà il necessario e sufficiente a tutti se non si pone un limite? Diceva Langer alla fine degli anni ’80: Molti dei nostri comportamenti non sono eticamente accettabili perché non sono moltiplicabili per cinque miliardi.”, figuriamoci oggi che siamo più di sette miliardi. Nel nostro piccolo stivale i più sono anziani, a volte gretti e inaciditi, sino a che non “schiatteranno”, continueranno a correre alle urne per rivendicare i privilegi illudendosi che chiudersi in sé fermi la storia, figuriamoci se accetteranno mai di porre un limite a qualsiasi loro desiderio o spesa?


E i giovani riusciranno mai a togliersi dal groppone l’idea che tutto si può fare, idea propria della gioventù e per questo effimera, saranno mai disposti a riconquistare la libertà dalle tante dipendenze, indotte o forzate, dal turbo capitalismo finanziario? Riusciranno mai a capire che senza confronto e conoscenza non saranno mai liberi? Nutro fiducia, più di una volta l’umanità si è scrollata dal groppone il peggio di sé.



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